Sfatiamo un mito: gli iscritti al partito non sono persone infervorate, militanti con il fazzoletti rosso al collo e il pugno perennemente alzato.

Sono persone normali, pensionati, impiegati, insegnanti, liberi professionisti, disoccupati, casalinghe, che al termine della loro giornata spendono qualche ora del proprio tempo a discutere di problemi politici, di amministrazione locale, di vacanze ed altro con persone simili a loro.

Non tutti i partecipanti a queste riunioni sono iscritti al Partito, non tutti gli iscritti partecipano alle riunioni.

L’iscritto ha una tessera, per cui versa un contributo al Circolo del proprio paese o quartiere; l’intero ammontare dell’obolo va ai livelli superiori dell’organizzazione partitica, al circolo locale non resta nulla.

L’elettore non ha tessera, una volta ogni tanto è chiamato ad esprimersi, perché così dice lo statuto (quello attuale quantomeno) e deve versare un obolo legato alla campagna in corso, anche in questo caso non rimane nel circolo locale.
Ripeto: i 2 € che l’elettore ha dato, non servono a coprire le spese che il singolo circolo locale ha sostenuto, ma vanno a coprire le spese che il Nazionale ha sopportato per ingaggiare esperti di comunicazione, stampare inviti al voto, comprare spazi pubblicitari etc.

L’affissione dei manifesti, il montaggio dei gazebo, i gazebo, in alcuni casi anche parte del materiale propagandistico, perfino l’acqua che i volontari si portano durante il volantinaggio vengono pagati da soldi che il circolo raccoglie con altre iniziative, ad esempio con le varie Feste Democratiche estive.

In sostanza, sia iscritti che elettori hanno in comune l’esborso di soldi verso il Partito, nessuno dei due ne ricava particolari vantaggi.

A parte la polemica sui soldi, vale la pena chiedersi in che misura la tessera di partito sia ancora significativa in un momento in cui le appartenenze non sono legate a certificati di sorta, quanto piuttosto alla capacità di costruire visioni di lungo periodo e soluzioni di medio-breve periodo che convincano, aggreghino e sappiano conciliare posizioni diverse.

La differenza fra avere e non avere la tessera è insignificante: avere la tessera non implica fedeltà assoluta al partito, non avere la tessera non rappresenta lontananza dal partito.

Allora forse non è più un elemento così importante, no?

“Ecco perché mi tessero al PD”: ho letto tutte le risposte date nell’ambito della campagna per il tesseramento promossa da Monza e Brianza e per tutte le risposte dico che queste cose possono essere testimoniate e fatte anche senza essere tesserati.

Partecipare alle riunioni del circolo del proprio quartiere: si può

Fare il volontario alle Feste Democratiche: si può

Sostenere le proprie idee antifasciste e egualitarie: si può

Stare dalla parte dei deboli e di chi non ha nulla: si può



Facendo un paragone, forse azzardato, direi che l’elettore sceglie la convivenza, mentre un iscritto ha scelto il matrimonio.

Non c’è differenza nell’impegno e nell’amore che si profonde in ciascuna delle due relazioni. La persona seria si impegna con i propri comportamenti, con la propria convinzione, ogni giorno rinnova il legame, a prescindere dalla formalizzazione di quel legame in un contratto, in una tessera, in un anello.

Tornando al Partito Democratico, che senso ha oggi distinguere fra tesserati ed elettori? Chi si riconosce nel PD ha sicuramente la tessera in tasca? Perché un iscritto “per inerzia” deve avere più possibilità di dire la propria di un elettore e militante convinto?

Qualcuno risponderà che non si impedisce a nessuno di prendere la tessera e che quindi se il militante è così convinto la può fare e trasformarsi in iscritto.

Ma torno alla domanda iniziale: ha ancora senso parlare di tessere? Cosa rimarcano in maniera così netta da essere un elemento differenziante?

E voi, cosa ne pensate?



Leave a Reply.